Dal dossier Effetto Global Deal elaborato dal WWF Italia nel 2009.
Premessa
Le ricerche scientifiche sul cambiamento climatico e i suoi impatti pubblicate dopo il più recente Rapporto del Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) del 2007, rivelano che il cambiamento climatico sta accelerando a un ritmo molto più veloce rispetto alle previsioni dello stesso IPCC.
Questo breve resoconto vuole riassumere alcune delle evidenze principali scaturite da questi studi, con un particolare riferimento alle nuove ricerche relative agli impatti del cambiamento climatico in Europa.
Introduzione
Nel 2007 il Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) ha pubblicato un rapporto che ha fatto il punto sulle nostre conoscenze scientifiche sul cambiamento climatico e ha contribuito a chiarire meglio il ruolo dell’attività umana nel produrre tale cambiamento. Sempre nel 2007, l’IPCC è stato anche insignito del premio Nobel per la Pace, come chiaro riconoscimento del fatto che il cambiamento climatico rappresenta una sfida prioritaria per la sicurezza dell’umanità nel ventunesimo secolo. Coinvolgendo oltre 3.800 scienziati provenienti da più di 150 Paesi in un lavoro di sei anni, il Quarto Rapporto dell’IPCC, pubblicato tra gennaio e novembre 2007, ha analizzato studi scientifici pubblicati fino alla fine del 2006 e in alcuni casi fino agli inizi del 2007.
Dalla pubblicazione di questo fondamentale rapporto, la ricerca scientifica sul cambiamento climatico e i suoi impatti è proseguita e nuovi studi stanno rivelando che il riscaldamento globale avanza a ritmi molto più rapidi rispetto alle previsioni degli studi precedenti, compreso lo stesso Quarto Rapporto dell’IPCC.
Nuovi studi di scenario forniscono anche indicazioni più dettagliate degli impatti che potrebbero verificarsi se il riscaldamento continuasse. Sembra che importanti aspetti legati al cambiamento climatico siano stati sottovalutati ed alcuni impatti si stiano verificando prima del previsto. Per esempio, precoci segnali di cambiamento suggeriscono che il riscaldamento globale aumentato di quasi 1°C, potrebbe aver già innescato il primo Tipping Point (punto critico) del sistema climatico della Terra, ovvero la scomparsa dei ghiacci artici durante l’estate. Questo processo potrebbe aprire la strada a un rapido e brusco cambiamento climatico, più di quanto abbiano sinora fatto i cambiamenti graduali sin qui registrati. Ciò implica che le nostre risposte nei confronti della mitigazione (riduzione significativa delle emissioni) e dell’adattamento al cambiamento climatico devono essere ancora più rapide e ambiziose.
Tipping points: i Punti Critici
Agli inizi del 2008 un team di scienziati ben noti in questo ambito, ha pubblicato uno studio sui cosiddetti “Tipping elements”, cioè i punti critici del sistema climatico terrestre (Lenton et al., 2008). Lo studio illustra alcuni degli elementi critici in alcune aree del nostro pianeta che potrebbero sorpassare una soglia per cui il verificarsi di una piccola perturbazione potrebbe qualitativamente alterare lo stato o lo sviluppo del sistema provocando, a cascata, una ampia scala di impatto sui sistemi umani ed ecologici.
Le attività umane hanno infatti la potenzialità di far transitare i sistemi naturali verso altri stati che potrebbero produrre effetti negativi per le società umane stesse. Questi fenomeni sono stati descritti come “Tipping points” seguendo la nozione popolare che, in un particolare momento nel tempo, un piccolo cambiamento può provocare conseguenze ampie e di lungo termine, come ricorda il detto “piccole cose possono produrre grandi differenze” (butterfly effect).
Lo studio indica 15 aree o fenomeni sui quali le ricerche sin qui svolte indicano la possibilità di un passaggio critico nell’arco di periodi che vanno da uno a 10, 50, 300 o molti più anni. Il fatto che alcuni di questi tipping elements, sottoposti ad un continuo cambiamento climatico antropogenico, possano raggiungere il loro punto critico tra pochi anni o entro un secolo, impone risposte politiche urgenti per evitare che ciò possa accadere.
Le 15 situazioni riguardano: la formazione del ghiaccio artico estivo, il ghiacciaio della Groenlandia, il ghiacciaio Antartico occidentale (WAIS), la circolazione termoalina dell’Atlantico (THC), la cosiddetta El Nino – Southern Oscillation (ENSO), il monsone estivo indiano (ISM), il monsone occidentale Sahara/saheliano (WAM), la foresta tropicale amazzonica, la foresta boreale, l’Antarctic Bottom Water (AABW), la tundra, il permafrost, gli idrati di metano nel mare, la perdita di ossigeno negli oceani e l’ozono artico.
Il cambiamento climatico oggi: piu’ intenso e piu’ vicino del previsto.
ARTICO. L’Oceano Artico sta perdendo i suoi ghiacci 30 anni prima o anche più rispetto alle proiezioni presentate nel Quarto Rapporto dell’IPCC (Stroeve et al., 2007). La comunità scientifica che studia l’Artico conviene che i principali aspetti di questa accelerazione siano causati da meccanismi di feedback, i cui effetti sono stati seriamente sottovalutati nel Rapporto. Per esempio, a causa della riduzione dei ghiacci artici le acque oceaniche sono state riscaldate di più dal sole, il che renderà ancora più difficile il riformarsi dei ghiacci negli inverni successivi.
Non a caso autorevoli scienziati affermano che siamo vicini al sorpasso di un punto critico del sistema di ghiacci in Artico. Questo significa che l’Oceano Artico molto presto potrebbe essere libero dai ghiacci nei periodi estivi. E si prevede che i ghiacci estivi potrebbero completamente scomparire in alcune aree tra il 2013 e il 2040 – una condizione mai vista sulla Terra da più di un milione di anni. Tra l’altro, un Oceano Artico senza ghiacci d’estate amplificherà ulteriormente il riscaldamento globale, attraverso il maggiore assorbimento di calore a causa della superficie oceanica scura (rispetto alla superficie chiara dei ghiacci) e attraverso cambiamenti nelle correnti oceaniche. Tutto ciò può verosimilmente aprire le porte a un cambiamento climatico ancora più rapido e brusco di quanto sia stato previsto finora (WWF 2008, SEARCH 2008).
Il 2008 è stato il secondo anno, dopo il 2007, con la più bassa superficie di ghiacci artici alla fine di settembre, periodo in cui termina lo scioglimento naturale dei ghiacci dovuto al periodo estivo. Da quando esistono le registrazioni da satellite, cioè dal 1979, la superficie estiva dei ghiacci si è ridotta del 34%. Nel 2005 erano 5.57 milioni di kmq, nel 2007 erano 4,28 milioni di kmq (l’anno più basso da quando esistono le registrazioni da satellite) mentre nel 2008 è stata registrata la superficie di 4,67 milioni di kmq. (Fonte: National Snow and Ice Data Center, 2008).
ANTARTICO. I ghiacciai costieri nella Penisola Antartica stanno perdendo ghiaccio più velocemente e stanno contribuendo in misura maggiore all’innalzamento del livello del mare rispetto a quanto riportato nel Quarto Rapporto IPCC (Pritchard e Vaughan, 2007).
LIVELLO DEI MARI. Dal 1990, il livello globale del mare si sta innalzando di una volta e mezzo più velocemente di quanto previsto nel Terzo Rapporto dell’IPCC (pubblicato nel 2001) (Rahmstorf et al., 2007). Oltre a questo, nuovi studi hanno previsto che l’innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo corrisponderà a più del doppio del valore massimo stimato (0,59 m) nel Quarto Rapporto (Rahmstorf, 2007, Rohling et al., 2008). Un aumento del livello del mare di oltre 1,2 m metterebbe a rischio vaste aree costiere, in Europa e nel resto del mondo.
ACCELERAZIONE DELLE CONCENTRAZIONI DI GAS SERRA IN ATMOSFERA. Nel settembre del 2008 sono stati resi noti dal prestigioso ed autorevole programma internazionale Global Carbon Project, i risultati del Carbon Budget 2007. I maggiori specialisti mondiali del ciclo del carbonio hanno fornito tutti i dati relativi al ciclo stesso nel 2007. L’incremento annuale di anidride carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera è stato di 2,2 ppm (parti per milione di volume), nel 2006 era stato di 1,8 ppm, mentre la media annuale nei precedenti 20 anni era stata di 1,5 e per il periodo 2000-2007 la media è superiore a 2,0 ppm.
Questo incremento ha condotto la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera a 383 ppm nel 2007, cioè il 37% al di sopra della concentrazione esistente all’inizio della Rivoluzione Industriale (quando nel 1750 era di 280 ppm). Gli scienziati hanno documentato che l’attuale concentrazione è la più alta degli ultimi 650.000 anni e, con ogni probabilità, degli ultimi 20 milioni di anni. Le emissioni di carbonio dovute all’utilizzo dei combustibili fossili sono salite dai 6,2 miliardi di tonnellate del 1990 alle 8,5 miliardi di tonnellate nel 2007. Il tasso di crescita è stato del 3,5 % l’anno nel periodo 2000-2007, un incremento di quasi quattro volte rispetto allo 0,9% annuo del periodo 1990-1999.
L’attuale tasso di crescita delle emissioni per il periodo 2000-2007 eccede le più alte previsioni di crescita per il decennio 2000- 2010 previsto dallo “Special Report on Emissions” (SRES) realizzato dall’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC). I maggiori incrementi delle emissioni si sono avuti nei paesi di nuova industrializzazione, in primis Cina ed India. Le emissioni dovute ai combustibili fossili ed alle industrie cementifere hanno rilasciato approssimativamente 348 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera dal 1850 al 2007. La capacità dei sistemi naturali, compresi ovviamente gli oceani, di “catturare” tutto questo carbonio sta progressivamente riducendosi. L’efficienza della capacità di sequestro da parte dei sistemi naturali è scesa del 5% nell’arco degli ultimi 50 anni. Cinquant’anni fa per ogni tonnellata di biossido di carbonio emessa in atmosfera i “serbatoi” naturali ne sequestravano 600 kg. Oggi ne rimuovono 550 kg.
Negli ultimi 15 anni, circa la metà delle emissioni di CO2 derivate dall’attività umana è stata assorbita dalle terre e dagli oceani. Ma la capacità di questi “serbatoi” naturali sta diminuendo (Le Quéré et al., 2007) a ritmi più alti di quelli previsti negli studi precedenti. Vale a dire che una maggiore percentuale della CO2 emessa dalle attività umane rimarrà nell’atmosfera e contribuirà al riscaldamento globale (Canadell et al., 2007). Le emissioni antropogeniche di anidride carbonica sono cresciute di almeno quattro volte più velocemente dal 2000 rispetto al decennio Novanta a dispetto degli sforzi avviati in diversi paesi che hanno sottoscritto il Protocollo di Kyoto (nell’ambito della Convenzione Quadro sui Mutamenti Climatici delle Nazioni Unite). Gli autorevoli scienziati del Global Carbon Project ci ricordano che tutti questi mutamenti che caratterizzano il ciclo del carbonio stanno producendo un grande forcing del sistema climatico in una maniera molto più rapida di quanto precedentemente ci si aspettasse (Global Carbon Project, 2008 e Canadell et al., 2007).
La percentuale attuale di crescita delle emissioni rispetto al 2000 è stata maggiore di qualunque scenario indicato dall’IPCC sia nel Terzo che nel Quarto Rapporto (Raupach et al., 2007). Un riesame degli impatti climatici riportati nel Quarto Rapporto IPCC indica che servono tagli dell’80% nelle emissioni globali di gas serra entro il 2050 per mantenere l’aumento medio delle temperature globali sotto i 2°C – e per limitare gli impatti climatici entro livelli più “accettabili”. Un taglio di questo genere farebbe stabilizzare la concentrazione atmosferica di gas a effetto serra a 400-470 parti per milione di CO2 equivalenti. Tuttavia, anche con un taglio dell’80% alle emissioni, i danni sarebbero significativi, e sarebbero richiesti molti più sforzi di quelli attualmente pianificati per evitare i più gravi (Parry et al., 2008). Ovviamente un taglio dell’80% nelle emissioni globali richiederebbe all’UE di fare di più, dal momento che i paesi in via di sviluppo hanno delle esigenze energetiche di base che verosimilmente comporteranno un certo aumento delle emissioni nei prossimi decenni. Il WWF auspica che si arrivi a zero emissioni nette in Europa entro il 2050.
Cosa accadrà se non agiamo in fretta
Molte delle evidenze scientifiche emerse dopo la pubblicazione del Quarto Rapporto dell’IPCC hanno fatto suonare il campanello d’allarme sulla velocità e la portata dei cambiamenti che stanno interessando il clima globale. Inoltre, studi e modelli di scenario ci stanno mostrando quanto succederà se non affrontiamo con decisione e urgenza le cause del cambiamento climatico e se non sviluppiamo misure più forti per adattarci a quei cambiamenti che ora sono inevitabili.
CIBO, AGRICOLTURA E PESCA. Il benessere della società dipende dalla disponibilità e dalla distribuzione del cibo. Lobell e Field (2007), hanno dimostrato che il trend di aumento delle temperature mondiali dal 1981 ha già portato una riduzione dei raccolti globali di mais, frumento e orzo. La perdita annuale dei raccolti si può quantificare in circa 40 milioni di tonnellate o 5 miliardi di dollari (3,2 miliardi di euro).
Con le temperature in continuo aumento, Lobell et al., (2008) hanno predetto che le due regioni che più patiranno la riduzione dei raccolti saranno l’Asia e l’Africa meridionale; in particolare, si pensa che le colture più penalizzate saranno quelle più importanti per la maggior parte della popolazione che vive in quelle parti del mondo. Tubiello e Fischer (2007) hanno mostrato come la riduzione delle emissioni di gas serra potrebbe ridurre del 75-100% il costo economico della perdita di raccolto causata dai cambiamenti climatici e che il numero delle persone a rischio di malnutrizione calerebbe del 70-80%. Brander (2008) ha concluso che la produttività della pesca potrebbe soffrire un declino locale e anche globale come risultato del riscaldamento globale, e che questo declino potrebbe essere già cominciato.
SALUTE. I cambiamenti climatici avranno gravi impatti anche sulla salute umana. Shea et al., (2007) hanno concluso che molto probabilmente saranno i bambini a soffrire di più gli effetti dei cambiamenti climatici. Infatti, i bambini sono particolarmente sensibili alle malattie e agli effetti dell’aria inquinata perché il loro organismo è ancora in fase di sviluppo. Sono particolarmente vulnerabili anche in caso di eventi meteorologici estremi perché ovviamente dipendono in tutto e per tutto dagli adulti per il loro sostentamento e la loro salute. Come se non bastasse, oltre a questi effetti diretti ci sono anche degli effetti di lungo periodo che potrebbero sorgere dal cambiamento della disponibilità di cibo e acqua e da possibili migrazioni forzate delle popolazioni costiere.
ECOSISTEMI. Gli impatti dei cambiamenti climatici vanno al di là delle società umane, e coinvolgono anche gli ecosistemi di tutto il mondo. Rosenzweig et al., (2008) hanno confermato che i cambiamenti climatici stanno impattando in maniera significativa sulla biofisica di tutti gli ecosistemi mondiali. Si stanno sciogliendo i ghiacci di tutti i continenti, i laghi e i fiumi si stanno scaldando, l’erosione delle coste è in aumento, la primavera sempre più anticipata sta avendo gravi conseguenze sulle piante che fioriscono sempre più in anticipo, e sui periodi di migrazione e di riproduzione di alcune specie e, soprattutto negli oceani, alcune specie stanno migrando sempre più a nord a causa dell’aumento della temperatura dell’acqua.
Williams et al (2008) sostengono che a causa dei cambiamenti climatici, nelle zone tropicali e subtropicali si rileveranno condizioni climatiche sempre più calde, mentre le condizioni climatiche tipiche di regioni tropicali montane e di regioni polari molto probabilmente scompariranno. La scomparsa così rapida di questi climi rischia di far aumentare la probabilità che le specie non riescano ad adattarsi; per esempio, ai tropici sono molte le specie che non riusciranno a farlo. Williams et al., (2008), Tewksbury et al., (2008) e Deutsch et al., (2008) avvertono che il rischio più grande di estinzione di massa risiede nei tropici, dove la biodiversità è anche maggiore. Questi allarmi si aggiungono a quelli avanzati dal quarto rapporto dell’IPCC, che aveva già stabilito che oltre il 30% delle specie sarà a rischio estinzione con un aumento della temperatura di 1,5-2,5 gradi rispetto alle temperature attuali.
Prospettive in Europa
SALUTE. L’eccezionale ondata di caldo e siccità che ha colpito l’Europa nell’estate del 2003 ha causato circa 35.000 morti: caldo, inquinamento e alte concentrazioni di ozono tra le principali cause. Con le temperature che continuano ad aumentare, i livelli di ozono troposferico si avvicineranno sempre di più a quelli dell’estate 2003, con l’incremento più significativo previsto in Inghilterra, Belgio, Germania e Francia (Meleux et al., 2007). Nella regione mediterranea, a temperature sempre più alte si accompagneranno ondate di calore come quelle dell’estate 2003 che, entro la fine del secolo saranno 3 volte più frequenti.
È quindi necessario un sostanziale abbattimento delle emissioni di gas serra affinché possano essere evitati i costi economici e in termini di salute di queste intense ondate di calore (Diffenbaugh et al., 2007). Uno studio della Commissione Europea ha stimato che ogni anno circa 369.000 persone muoiono prematuramente in Europa a causa dell’inquinamento e che queste morti premature – insieme alle cure mediche a esse connesse – costano tra il 3 e il 9% del PIL europeo. Tuttavia, una nuova ricerca commissionata da WWF, CAN e Heal ha calcolato che, se l’Europa opterà immediatamente per una politica di riduzione delle emissioni del 30% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, si potranno risparmiare altri 25 miliardi di euro (Holland, 2008). Le stime sono basate su valutazioni economiche che prendono in considerazione i decessi, le spese mediche dovute alle malattie, i giorni di lavoro persi e il costo dei ricoveri ospedalieri. I risultati di questo studio dicono che i ricoveri ospedalieri diminuirebbero di 8.000 unità all’anno e che verrebbero salvaguardate circa 2 milioni di giornate lavorative all’anno.
ACQUA. A causa del riscaldamento globale, le precipitazioni annuali aumenteranno nella maggior parte d’Europa, tranne in Spagna e in altre regioni di altri stati col rischio pertanto di un aumento dei danni causati da inondazioni. Solo nel bacino del Danubio e in quello della Mosa le stime dei danni futuri causate da inondazioni nei prossimi 100 anni sono dell’ordine di 60-73 miliardi di dollari. Saranno vittima di queste inondazioni circa 2 milioni di persone in 9 paesi, inclusi gli abitanti di Vienna e Liegi (Feyen et al., 2006).
Al contrario, nel Mediterraneo aumenteranno la frequenza e la durata dei periodi di siccità. Entro la fine del secolo i suoli di queste zone saranno completamente asciutti. (Sheffield e Wood, 2008). I ghiacciai delle Alpi svizzere si stanno sciogliendo sempre più velocemente e provocano la formazione di laghi. Pertanto, il recente trend di scioglimento dei ghiacci è pressoché impossibile da fermare o da invertire, almeno nel prossimo futuro (Paul et al., 2007). Studiando il sistema di produzione di energia idroelettrica delle Alpi svizzere, è possibile prevedere che nel periodo 2070-2099 la produzione di energia idroelettrica calerà del 36% rispetto al periodo 1961-1990, sempre a causa del riscaldamento globale (Schaefli et al., 2007).
TEMPESTE. A causa del riscaldamento globale, si prevede che l’intensità dei cicloni sulle isole britanniche e nel mare del nord aumenterà, mentre gli effetti collaterali di queste tempeste verranno sentiti in tutta l’Europa centrale (Pinto et al., 2007). Senza l’adozione di misure di adattamento, le perdite economiche causate da queste tempeste aumenteranno del 37% tra il 2060 e il 2100 in Gran Bretagna e Germania (Leckenbush et al., 2007). Nel 2005, i volumi di legname corrispondenti alla raccolta annuale di due paesi come la Svezia e la Lettonia sono stati distrutti a causa di una sola tempesta. Alcuni modelli matematici ci dicono che a causa del riscaldamento globale la velocità dei venti aumenterà nella Svezia meridionale con conseguenze sull’industria del legno svedese (Blennow e Olofson, 2008).
ECOSISTEMI. L’analisi di 542 specie di piante e di 19 specie animali in 19 paesi europei ha dimostrato senza ombra di dubbio che le attività di queste specie, soprattutto in autunno e primavera (ad esempio, la fioritura e la maturazione dei frutti nelle piante e la migrazione negli uccelli), sono cambiate a causa dei trend di riscaldamento globale che stiamo osservando (Menzel et al., 2006). Gli ecosistemi marini nel Mare del Nord e nel Mare Baltico sono esposti a temperature più calde come mai era successo nella storia da quando questi rilevamenti vengono registrati. Il riscaldamento è troppo veloce perché le specie riescano ad adattarsi in tempo e questo provoca profondi cambiamenti degli ecosistemi (MacKenzie e Schiedek, 2007). Nel nord Europa i danni causati alle foreste di betulle da insetti che divorano le foglie saranno almeno raddoppiati a causa del riscaldamento globale (Kozlov, 2008). Questo aumento dei danni causati dagli insetti può condizionare l’evoluzione futura delle foreste (Wolf et al., 2008).
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